Articolo di don William sull’educazione

Settimana dell’educazione 21-31 gennaio 2021

Un po’ di galateo?

 

La settimana dedicata all’educazione ha una tappa significativa situata il 24 gennaio, giorno in cui la Chiesa fa memoria di un grande educatore, san Francesco di Sales.

In un tempo come il nostro dove la pandemia ci costringe a molte restrizioni e fatiche potrebbe essere utile rivedere alcune modalità e stili di vita che sembrano cose del passato.

Questo, a mio avviso, porterebbe a un servizio serio per saper vivere al meglio i rapporti quando riusciremo a ricreare una vita sociale.

Mi accorgo che sempre più in generale si stia perdendo la gentilezza dello stile. Il “tutto uguale” se da un lato favorisce diritti e uno scambio bello tra le persone, da un lato annulla o indebolisce i doveri e le differenze come ricchezza nel cammino di crescita in ciascuno. Uguali nella dignità, diversi nel nostro particolare esistente: ognuno ha i suoi doni, i suoi pregi e i suoi difetti, il suo carattere e le sue esperienze. Se fossimo tutti uguali, non ci sarebbe il gusto della ricchezza dialogica dove uno regala qualcosa di sé all’altro.

Sembra, però, che le belle maniere, la buona educazione, il cosiddetto galateo siano qualcosa da studiare perché ormai parte del passato, più che un’esperienza da vivere oggi. L’impressione è che le pratiche di buona educazione siano delle modalità inutili e qualche volta esagerate. Alcuni esperti in materia sostengono che tutto ciò non sia un fenomeno di una fascia particolare ma che in qualche modo attraversi tutti i ceti sociali, dal politico all’ospite in una trasmissione, dallo sportivo all’uomo religioso. Tutti ne sono equamente colpiti, dall’ultimo burocrate di un qualsiasi ufficio che dà l’impressione di essere infastidito dalle nostre richieste, al ragazzo che spacca le cose o che non saluta nessuno; dall’adulto che sputa in strada e dà del tu a tutti, alla giovane che dice parolacce; da quello che imbratta i muri ai bambini che non stanno più a tavola fino alla fine del pasto; dagli adolescenti che di fronte a un ospite che è invitato in casa non si alzano dal divano per salutare al giovane che non si alza dal sedile su un mezzo pubblico per fare sedere una persona più avanti negli anni. Spesso si parla tutti insieme, si dicono strafalcioni e parolacce e soprattutto si urla per imporre la propria idea.

Davvero è giusta questa nuova modalità? Non è che questo stile sia indice di una maleducazione che essendo generalizzata sembra cosa giusta ma che alla fine non rispetta nulla se non se stessi? Ma l’altro non va amato, rispettato, ascoltato? Allora perché non rieducare lo stile affinché l’altro si senta accolto? E se allo stesso tempo noi, abbandonando l’autoreferenzialità, ci lasciassimo, con umiltà amare?

San Francesco di Sales parlando della predicazione dà qualche avvertimento sulla forma con cui la si compie: «Parlare con calore e con devozione, con semplicità, con candore e fiducia. Bisogna che le parole siano infiammate, ma non per le grida o i gesti smisurati, anzi, per l’affetto interiore; bisogna che escano dal cuore più che dalla bocca. Il cuore parla al cuore e la lingua non parla che alle orecchie». Lo stile veicola il messaggio. Non è del tutto vero che l’abito non fa il monaco… forse anche l’abito ha la sua ragion d’essere. Non sto facendo l’elogio all’apparenza, anzi. La forma deve essere legata al contenuto, sempre e comunque.

Conoscendo la vita di san Francesco di Sales si vede un uomo di buone maniere, un gentiluomo con tutti, nobili, dotti o semplici popolani. Francesco era un uomo tutto d’un pezzo che non faceva mai mancare il suo sorriso alle persone con cui parlava, che trattava tutti con dolcezza e affabilità, che quando discuteva con gli avversari non usava mai parole arroganti o umilianti. Un uomo che con i suoi modi conquistava. Diceva: «Attira più mosche una goccia di miele che un barile di aceto».

Quest’uomo si è distinto in cortesia e gentilezza, due forme di un’anima straordinaria che coltivava continuamente nella sua preghiera.

Interrompo per qualche riga il discorso delle buone maniere per dirvi chi è Francesco di Sales.

Egli nacque nel 1567 nel castello di Sales nell’Alta Savoia, in una famiglia nobile. Fin da ragazzo c’erano su di lui delle aspettative da parte del padre che lo voleva un membro del Senato della Savoia. Francesco, dal canto suo, coltivava un altro desiderio: quello di servire la Chiesa. Fu allievo dei Gesuiti a Clermont per gli studi umanistici e si interessò di teologia alla Sorbona. Lasciata Parigi, si recò a Padova (1588-1591) per studiare diritto. Dopo aver ricevuto il dottorato «in utroque iure» fece un pellegrinaggio a Loreto. Tornato in patria iniziarono gli scontri con il padre, ma alla fine Francesco non cedette e si preparò per il sacerdozio. Fin da giovane prete si impegnò nell’affermazione del cattolicesimo rispetto all’aumento dell’adesione al calvinismo.

Nel 1599 durante un suo viaggio a Roma venne nominato vescovo coadiutore di quello di Ginevra con diritto di successione. Nel soggiorno romano conobbe san Filippo Neri, le oblate di santa Francesca Romana e gli Scolopi; conoscenze che lo aiutarono nell’impostare la fondazione della Visitazione. Nel 1602 Francesco diventa titolare della diocesi ginevrina. Fin da subito si adoperò per la formazione intellettuale e morale del clero con molta premura e attenzione. Era molto attivo nella predicazione, nella catechesi, nella direzione spirituale e s’impegnò a visitare tutte le parrocchie della sua Diocesi. Nel 1604 Francesco conosce a Digione la baronessa Giovanna Francesca Fremyot de Chantal, una giovane vedova, spiritualmente matura e al tempo stesso molto scrupolosa che chiede di essere guidata. Da questa richiesta scaturì un edificante carteggio di direzione spirituale delicata, affettiva, psicologicamente efficace, teologicamente sostanziosa, tutta mirata a Dio, alla sua presenza amorosa. Fu proprio insieme alla de Chantal che Francesco intraprese la fondazione della Visitazione. Nel 1622 accompagnò il duca di Savoia ad Avignone in una missione “politica” per incontrare il re di Francia Luigi XIII. Raggiunto il monastero della Visitazione di Lione, qui morì all’età di 56 anni, per un colpo apoplettico.

 

Dopo questo excursus sulla vita di san Francesco di Sales torniamo alle nostre belle maniere da recuperare, riscoprendone l’importanza. Ovviamente ne propongo alcune e alla fine vi consiglio qualche testo.

Le buone maniere servono per vivere meglio, per renderci ben accetti agli altri, per vivere in modo adeguato nella società, per “non fare agli altri quel che non vorremmo fosse fatto a noi”.

 

  1. Rispettiamo gli altri sempre
  2. Rispettiamo il ruolo degli altri. Occorre aver rispetto per i differenti ruoli delle persone: insegnante, istruttore, pubblico ufficiale. Non contestiamo ogni brutto voto dato dal maestro, non critichiamo una scelta dell’allenatore, non imprechiamo contro il vigile che ci ha inflitto – giustamente – una multa.
  3. Non facciamo i furbetti. In coda al museo o in fila al supermercato non tentiamo di guadagnare posti scorrettamente; osserviamo il nostro turno; in auto rispettiamo precedenze, semafori e strisce pedonali: altrimenti sembra che ‘migliore’ equivalga a ‘più furbo’
  4. Non facciamo gli indifferenti davanti ai bisogni degli altri! Sui mezzi pubblici, alziamoci per far sedere un anziano o una donna incinta, senza girarci dall’altra parte facendo finta di non aver visto. Anche i ragazzi devono imparare questa semplice regola di rispetto, perché non diventino adulti indifferenti ai bisogni altrui
  5. Recuperiamo la gentilezza ‘di una volta’. Sembra non sia più di moda salutare quando ci si incontra per le scale o quando si entra in una sala d’aspetto. Costa così tanta fatica dire un ‘buongiorno’? Dire ‘grazie’? Chiedere permesso prima di entrare in una stanza?
  6. Abbiamo sbagliato? Chiediamo scusa
  7. Non si discute in pubblico. Se sorge un litigio con il partner o dobbiamo rimproverare nostro figlio, non è il caso di renderne partecipi tutti quelli che stanno nei paraggi. I panni sporchi si lavano in casa, dice un vecchio proverbio; a lavarli in pubblico mettiamo in difficoltà e in imbarazzo chi ci sta intorno, oltre a rovinare l’atmosfera a tutti, soprattutto in contesti dove dovrebbe prevalere gioia e convivialità, come a tavola.
  8. Non si dicono parolacce. La regola vale per tutti. Assolutamente non si bestemmia! Idem per pettegolezzi e critiche: non mettiamo il becco su tutto, spesso a sproposito
  9. Non si urla! In casa, al parco giochi, al supermercato, in spiaggia: qualunque cosa vogliamo dire, diciamola in modo che ci ascolti solo il destinatario del messaggio. Controlliamo il tono e il volume della voce, soprattutto se abitiamo in un condominio, dove attraverso le pareti passa molto di più di quel che immaginiamo. Ricordiamoci che agli altri non interessa niente dei nostri discorsi. Così per chi ascolta musica. Non è corretto che tutti sentano la nostra musica sul treno, in aereo, negli spazi pubblici ma anche in casa con le apparecchiature a volume alto.
  10. Rispettate le regole del luogo. Se ad esempio si entra in chiesa, non si urla, non si mangia, si spegne il telefono e non si chiacchiera. Anche se non siamo credenti e in certi luoghi di culto ci andiamo solo per ammirare l’arte, ricordiamoci che c’è chi va per devozione.
  11. Amore per la natura. Non gettiamo rifiuti e utilizzare gli appositi cestini. O, in mancanza di questi, portiamoci i sacchetti a casa. Trattiamo il bosco o la spiaggia con cura, come fossero casa nostra.
  12. Non diamo sempre la colpa agli altri. Sarà pur vero che è stato l’altro a far scuocere la pasta, a dimenticare di pagare una bolletta o a commettere chissà quale altro errore, ma se anziché puntare il dito con un ‘tu’ adoperassimo un inclusivo ‘noi’, ci renderemmo più empatici agli occhi dell’interlocutore. La colpa non è mai al 100% da una sola parte.
  13. Niente cellulare a tavola. Nel ‘500 i cellulari non esistevano, ma già da allora Monsignor Della Casa, autore del Manuale di belle maniere, raccomandava di non tirar fuori dalle tasche una lettera per mettersi a leggerla quando si era seduti a tavola, perché sarebbe un chiaro segno che non si ha alcuna considerazione e rispetto per i commensali.
  14. A proposito di tavola… mani a posto e non si gioca con il cibo. Ricordiamoci le regole fondamentali: le mani si tengono ‘a posto’, non si toccano capelli, faccia, bocca, stoviglie e non si gioca con il pane o in generale con il cibo; non si parla con la bocca piena; non ci si abbuffa come se non si vedesse cibo da mesi, facendo man bassa ai buffet e stando con la testa nel piatto per tutta la durata del pasto. Non ci si alza da tavola fino a che tutti non abbiano finito.
  15. I consigli agli altri genitori? Solo se richiesti. Non usiamo i social come contenitori di commenti ignoranti e di grande maleducazione. Ricordiamoci che la verità non siamo noi, che abbiamo solamente un’opinione da raccontare, facciamolo con grande rispetto.

 

Dopo la lettura di queste considerazioni a proposito dell’importanza delle buone maniere, se avete voglia di approfondire l’argomento ci sono alcuni libri imperdibili. Il primo è il classico testo di Monsignor Giovanni della Casa: si intitola Il Galateo, ovvero de’ costumi, è stato scritto nel Cinquecento, ma non esiste manuale più attuale sulle buone maniere. Ne potete trovare, in qualsiasi libreria, diverse edizioni low cost.  Il secondo libro, leggero come un soffio ma profondissimo per i contenuti, è della giornalista e scrittrice Lina Sotis (si intitola Bon ton). Terzo libro che vi segnaliamo è «Le origini delle buone maniere a tavola» di Claude-Lévi Strauss e, per chiudere, date un occhio a «Signore e signori d’Italia» di Gabriella Turnaturi (edizioni Feltrinelli), una vera storia delle buone maniere nel nostro Paese. Compresa, ahimè!, la loro decadenza.

 

don William

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