EDITORIALE di NOVEMBRE di CAMMINIAMO INSIEME

CUSTODIRE LA VITA
Tra qualche mese saremo forse chiamati ad esprimerci per un referendum “sull’eutanasia”.
Ricordando i precedenti referendum sull’aborto e sul divorzio temo che il confronto possa essere aspro, “urlato”, con tesi sbraitate da una parte e dall’altra a scapito di quanto vi è veramente in gioco. Si evocheranno “casi pietosi” per motivare la necessità di una legislazione a favore della eutanasia.
Si invocherà una astratta “sacralità” della vita per negare ogni possibilità di legislazione in tal senso. Il problema è reale.
La medicina in questi ultimi decenni ha compiuto passi da gigante, ha permesso l’allungamento delle aspettative di vita a tante persone ma: quale vita?
Vorrei che il confronto su questa tematica però avvenisse “IN SILENZIO” perché il tema del morire è un tema che tocca, e deve toccare, anzitutto la profondità dell’uomo: la nostra coscienza. Questa tematica interpella la concezione più profonda e intima dell’essere umano, del nascere, vivere e morire.
Tali questioni non possono essere trattate con slogan urlati o violenti. L’occasione del referendum mi piacerebbe fosse anzitutto l’occasione per ogni uomo di tornare a riflettere sul senso della vita e sul grande tema di “chi è l’uomo?” e “che cosa è la vita?”.
L’esito del referendum non risolverà il problema del “fine-vita”.
E allora mi pare importante ricordare alcuni principi che dovrebbero guidarci come uomini di retta coscienza:
1°) la vita è un dono che ci è stato fatto e ci cui non possiamo mai sentirci “padroni”. Nè della nostra vita né di quella di altri soggetti (concepito, infermo, la persona in stato terminale).
2°) la vita va custodita come bene prezioso. La cura della salute e il non metterla a repentaglio con comportamenti spericolati o abusi di sostanze sono il primo modo di voler bene a se stessi e alle persone con cui condividiamo la vita.
3°) Il fine-vita va vissuto, possibilmente, in modo umano e con dignità: l’assistenza domiciliare agli ammalati, le cure palliative, le terapie del dolore, la possibilità di un ricovero presso gli “hospice”, soprattutto il decorso verso la morte vissuto in famiglia sono, a mio parere, le modalità di fine-vita più rispettose dell’essere umano.
Detto questo rimane il fatto di un Referendum per il quale, attualmente, sono state raccolte oltre 1.200.000 firme.
Come sapete la richiesta di referendum nasce da alcuni fatti di cronaca.
In particolare il caso di “Dj Fabio” ovvero Fabio Antoniani che, reso cieco e tetraplegico da un incidente di auto nel 2014, aveva chiesto di essere accompagnato in Svizzera per sottoporsi al “suicidio assistito”, procedura illegale in Italia.
Lo aveva accompagnato Marco Cappato, presidente dei Radicali italiani, che si era poi autodenunciato per il reato di aiuto al suicidio.
Investita del problema la Corte costituzionale era intervenuta nel 2018 sospendendo il procedimento ed affidando al Parlamento il compito di legiferare in materia entro un anno.
Nel 2019 poi la stessa Corte costituzionale (sentenza 242/19) aveva depenalizzato il reato di assistenza al suicidio in presenza di quattro condizioni concomitanti: se la persona aiutata a morire fosse affetta da una patologia irreversibile, se le sue sofferenze fossero ritenute intollerabili, se venisse tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, se fosse in grado di prendere decisioni libere e consapevoli.
Attualmente presso la Camera dei deputati in Parlamento è in discussione un “Ddl” sul suicidio assistito che cerca di recepire i dettati della Corte costituzionale.
Il referendum chiede che vengano aboliti alcuni passaggi dell’art. 579 del Codice penale che riguarda il reato di omicidio del consenziente. Non sarebbe più punibile l’intervento per provocare la morte di una persona che lo richiedesse. Rimarrebbe in vigore il reato e la sua punibilità nel caso in cui si provochi la morte di un minore, un infermo di mente o una persona cui il consenso sia stato estorto.
Questo referendum viene invocato come anelito alla libertà ed autodeterminazione: la libertà di porre fine alla propria vita quando questa diventi insopportabile.
Il quesito referendario mira dunque a legalizzare, di fatto, l’eutanasia diretta: la somministrazione di un farmaco che metta fine alla vita di un paziente.
Mi chiedo: è questa la giusta via per affrontare il gravoso problema del fine-vita?
Un quesito dove con un “si” o un “no” si decide di una materia delicata e dalle mille sfaccettature?
O non è meglio lasciare che il Parlamento vari una legge adeguata?
Certo mi pare importante la prospettiva entro la quale confrontarci: non quella di “quando e come” interrompere una vita umana ma come CUSTODIRE la vita umana nella sua integrità e dignità anche quando si presenta in forme di fragilità e si avvia alla sua naturale conclusione.
Don Maurizio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *